Biografia

Nato nel 1954 e deceduto nel 2021 sul Lago Maggiore, da padre francese e madre italiana, dopo il diploma al liceo Scientifico Vittorio Veneto, frequenta gli ambienti del teatro milanese. Negli anni settanta segue i corsi di teatro antropologico della Comuna Baires di Milano, teatro indipendente argentino fondato a Milano nel 1977. Prosegue con l’esperienza teatrale facendo parte del gruppo di attori che con il fondatore storico Mario Montagna fondano il Teatro i a Milano.
Dopo queste diverse esperienze della scena culturale dell’epoca, Barotte si addentra nel mondo del teatro di ricerca internazionale, che lo porta a vivere l’esperienza di attore diretto dal regista e pittore Tadeusz Kantor nel 1980. Nello stesso periodo lavora con la compagnia milanese Teatro AlKaest. Nel 1987 partecipa a Documenta Kassel 8 con lo spettacolo di Kantor Macchina dell’amore e della morte. Alla fine degli anni ottanta, con l’esperienza decennale di sperimentazione con il grande regista, in Barotte nasce l’esigenza di sviluppare un proprio linguaggio. La sua ricerca visiva inizia durante le tournée teatrali, realizzando i suoi primi disegni nelle camere d’albergo in giro per il mondo.
Per dare forma al suo pensiero l’artista intraprende quindi un nuovo percorso, comprende che la pratica teatrale non corrisponde più alle sue esigenze e conclude il suo vissuto come attore per dedicarsi interamente all’indagine visiva che lo porterà nel corso degli anni alla pittura. La letteratura e la filosofia sono gli strumenti che lo accompagneranno nel suo cammino; I legami con l’opera letteraria di Edmond Jabès, l’opera poetica di Paul Celan, il percorso spirituale di San Juan de la Cruz, l’opera filosofica di Jacques Derrida, ispirano l’artista in una continua narrazione filosofico-pittorica. La sua opera testimonia un ricorso a una violenza pittorica quasi necessaria per arrivare ad esprimere il concetto di sublime.

L’artista si forma per nascita attraverso la cultura italiana e quella francese e per scelta alla cultura spagnola della quale è altrettanto fortemente influenzato. Sceglie così di vivere tra Milano, Parigi e Ibiza. Nel suo lavoro si lascia attraversare dallo spirito e dalla cultura dei luoghi lo ospitano. Questa straordinaria permeabilità culturale permette all’artista di creare una singolare cifra stilistica che traspare nelle sue opere.
Le sue opere testimoniano una profonda riflessione, formale e concettuale, maturata di pari passo col suo cammino spirituale; quel cammino che nella serie ispirata alla ‘Noche oscura’ di San Juan de la Cruz conduce dall’oscurità alla luce. I neri vellutati fanno affiorare un lontano barlume e rivelano una via alternativa all’oscurità, dando forma a quel continuo dialogo dell’esistenza con la finitudine.
Jean-Marie Barotte, nel corso della sua inesausta ricerca sui mezzi e sul linguaggio stesso della pittura, ha creato il suo proprio nero fumo attraverso una tecnica personale, sedimentando con una ritualità alchemica la cenere, “Ciò che resta del fuoco” (Feu la cendre – J.Derrida). Usava la scrittura poetica e filosofica come detonatore pittorico, affidando all’immagine ciò che il fuoco lasciava.
Jean-Marie Barotte ha vissuto intensamente l’epoca d’oro della vita culturale della Milano tra gli anni ’70 e ’90, periodo che vede protagonisti alcuni dei più importanti movimenti artistici meneghini portati sulla scena mondiale; questo fermento gli consente di formarsi in un contesto favorevole agli incontri internazionali. Nel 2014, Milano a accoglie NEROCENERE, un’esposizione personale alla Fondazione Stelline allora rappresentativa del suo lavoro.

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